BISCOTTI E GALLETTE DI LERICI IN CAMBUSA
di Gabriella Molli
Storie di bianchi-alti cappelli vanno a braccetto con storie di biscotti di Lerici e gallette perché la vita a bordo un tempo era segnata dal cibo di mare ad alta conservazione. Magari anche dai vermicelli bianchi della farina, che inevitabilmente dopo mesi e mesi di mare si formavano nelle cambuse. Ecco alcuni frammenti tratti dal piccolo libro ”Per quell’amor di biscotto. Viaggio dentro Biscotti di Lerici, gallette e dintorni” di Gabriella Molli, pubblicato nella collana Qb di Contatto Edizioni, che ne attesta l’uso. Il piccolo testo sintetizza il tentativo di fermare l’attenzione sui due prodotti tipici di Lerici che rischiano la dimenticanza e anche la memoria perché affidati alle mani di uomini che fanno dell’arte bianca un mezzo per portare sulla tavola dei lericini buon pane, ma non sempre si applicano a quella tecnica chiamata bis-cottura che prevede tempi lunghi per la preparazione di biscotti e gallette. Tempi forse incompatibili con i ritmi frenetici di oggi. A loro, a questi panificatori, è affidata la nostra speranza.
Ecco alcuni brani tratti dal libro.
Biscotti di Lerici
Provai una sincera soddisfazione, parecchi anni addietro, nel leggere l’Almanacco igienico popolare che Paolo Mantegazza aveva pubblicato nel 1878. Diceva: “biscotti delicati sono quelli di Lerici nel Golfo della Spezia: conosciuti in breve giro di territorio, ma degni di fare il giro del mondo, sia per la loro digeribilità, sia per il leggero aroma di anice che li profuma, e per la loro straordinaria leggerezza”.
Dalla presentazione di Salvatore Marchese
Una pelle sottile marrone e croccante. Una texture che annuncia friabilità e sapore di anice. La forma è classica, a fetta di pane. Ma il biscotto di Lerici non è solo una fetta di pane dolce. È il contenitore di una storia di vita, fatta di gestualità, di abile manipolazione di elementi. È segno di una sapienza antica.
Dalla presentazione di Angelo Lupi
“Già a fine Ottocento, sono in molti a ricordarlo - disse Angelo Lupi – veniva messo nella sacca dei naviganti in partenza per i lunghi viaggi di mare. Sarebbe durato anche tre mesi. E avrebbe portato odore di casa e di affetti”. E poi, con orgoglio: “È una creazione lericina che ha anticipato tutti gli altri biscotti del genere”. “Secondo lei da dove sono venuti?” domandai al commendatore. “Dall’esigenza di fare un pane dolce che si conservasse a lungo - rispose – ce lo dice la presenza dell’anice. Ma io voglio dire a tutti, e prima di tutto ai genovesi, che i nostri Biscotti sono nati prima dei Lagaccio”. E mi fece vedere un documento datato 1782.
Il profumo dei biscotti invadeva un tempo le strade del borgo e l’uso che se ne faceva era legato a un buon commercio, soprattutto con le compagnie delle navi, che li acquistavano, dato l’ottimo livello di conservazione, i caratteri di freschezza e di squisitezza.
Narra uno storia di paese che una dolce signora sposata a un uomo di mare, preparò di nascosto dei biscotti e li mise in una bella scatola di metallo, fra le cose del marito comandante. I biscotti rimasero a lungo sul fondo di un baule e quando il marito li trovò erano ancora profumatissimi e stupendamente conservati; grande fu l’emozione nell’assaggiarli, una memoria di casa lo colse e tutta la dolcezza del ricordo della costa lericina. A ogni partenza portò con sé i biscotti e un giorno non tornò, perché una tempesta travolse la sua barca. La moglie continuò a cuocere i biscotti, che vendeva ai naviganti in partenza, e da allora i Biscotti di Lerici percorsero i mari.
Al di là delle leggende, l’origine dei biscotti d’anice risiede forse nelle abitudini alimentari delle comunità ebraiche stanziate in Lunigiana e lungo la costa spezzina fin dal X secolo. In particolare a Lerici verso la metà del XVII secolo esisteva una comunità ebraica, che si era stanziata nel centro storico, tra l’attuale Piazza Garibaldi ed il castello; il vescovo di Luni Giovanni Battista Spinola, reduce da esperienze pastorali a Fabriano, San Severino e Ravenna, ne riconobbe ufficialmente la presenza nel ghetto nel 1676. Probabilmente furono proprio i biscotti rituali dei Giudei lericini ad avere insperata fortuna anche tra la popolazione cristiana.
Gallette di Lerici
Solo il nome, non la sostanza, distingueva il bucellatum dal panis nauticus, la galletta di cereali che la flotta romana aveva adottato fin dal 214 a.C.. Si trattava di biscotti nel senso etimologico del termine: cotti due volte, onde consentirne la lunga conservazione, ma non privi di una loro raffinatezza. Infatti, non passò molto tempo che si cominciò a distinguere il panis militaris mundus dal panis castrensis, che la vita scomoda e talora incerta dell’avamposto militare costringeva a essere più grezzo, di farina grossolana. Forse i prototipi erano stati i rozzi pani dei guerrieri Parti, che secondo Livio potevano conservarsi addirittura per secoli.
[N.d.R. = mentre per l’adozione del panis nauticus si può risalire con certezza la 214 a.C., è da ritenere che i naviganti usassero dapprima un pane schiacciato a lunga conservazione, poi chiamato “gallette”, e solo più tardi siano stati introdotti i biscotti dolci, sempre a lunga conservazione. Si veda il termine ebraico matza per pane azzimo, mal lievitato e sodo, che ha dato luogo al corrispondente aggettivo lericino mazangà, identico al sarzanese e fosdinovese mazaraangà e alla voce italiana mazzaranga, strumento per battere, assodare e appianare il terreno]
Ricette con le gallette – Le caponade delle donne di Lerici
Caponada sensa asedo
Caponata senza aceto
Ingredienti: gallette leggermente ammollate in acqua e ben strizzate in un panno, pepe, sale, olio, origano, pomodoro fresco a fettine di sottili, acciughe sotto sale diliscate e tagliate a pezzetti.
Preparazione: unire tutti gli elementi in una ciotola e mescolare come fosse un’insalata.
Caponada con l’asedo
Caponata con l’aceto
Ingredienti: gallette ammollate in acqua e aceto (c’è chi preferisce il solo aceto) capperi, pepe, sale, aceto, olive nere, acciughe salate diliscate e tagliate a pezzettini.
Preparazione: mettere tutto in una ciotola. È un’insalata, mescolare con dolcezza.
Ecco alcuni brani tratti dal libro.
Biscotti di Lerici
Provai una sincera soddisfazione, parecchi anni addietro, nel leggere l’Almanacco igienico popolare che Paolo Mantegazza aveva pubblicato nel 1878. Diceva: “biscotti delicati sono quelli di Lerici nel Golfo della Spezia: conosciuti in breve giro di territorio, ma degni di fare il giro del mondo, sia per la loro digeribilità, sia per il leggero aroma di anice che li profuma, e per la loro straordinaria leggerezza”.
Dalla presentazione di Salvatore Marchese
Una pelle sottile marrone e croccante. Una texture che annuncia friabilità e sapore di anice. La forma è classica, a fetta di pane. Ma il biscotto di Lerici non è solo una fetta di pane dolce. È il contenitore di una storia di vita, fatta di gestualità, di abile manipolazione di elementi. È segno di una sapienza antica.
Dalla presentazione di Angelo Lupi
“Già a fine Ottocento, sono in molti a ricordarlo - disse Angelo Lupi – veniva messo nella sacca dei naviganti in partenza per i lunghi viaggi di mare. Sarebbe durato anche tre mesi. E avrebbe portato odore di casa e di affetti”. E poi, con orgoglio: “È una creazione lericina che ha anticipato tutti gli altri biscotti del genere”. “Secondo lei da dove sono venuti?” domandai al commendatore. “Dall’esigenza di fare un pane dolce che si conservasse a lungo - rispose – ce lo dice la presenza dell’anice. Ma io voglio dire a tutti, e prima di tutto ai genovesi, che i nostri Biscotti sono nati prima dei Lagaccio”. E mi fece vedere un documento datato 1782.
Il profumo dei biscotti invadeva un tempo le strade del borgo e l’uso che se ne faceva era legato a un buon commercio, soprattutto con le compagnie delle navi, che li acquistavano, dato l’ottimo livello di conservazione, i caratteri di freschezza e di squisitezza.
Narra uno storia di paese che una dolce signora sposata a un uomo di mare, preparò di nascosto dei biscotti e li mise in una bella scatola di metallo, fra le cose del marito comandante. I biscotti rimasero a lungo sul fondo di un baule e quando il marito li trovò erano ancora profumatissimi e stupendamente conservati; grande fu l’emozione nell’assaggiarli, una memoria di casa lo colse e tutta la dolcezza del ricordo della costa lericina. A ogni partenza portò con sé i biscotti e un giorno non tornò, perché una tempesta travolse la sua barca. La moglie continuò a cuocere i biscotti, che vendeva ai naviganti in partenza, e da allora i Biscotti di Lerici percorsero i mari.
Al di là delle leggende, l’origine dei biscotti d’anice risiede forse nelle abitudini alimentari delle comunità ebraiche stanziate in Lunigiana e lungo la costa spezzina fin dal X secolo. In particolare a Lerici verso la metà del XVII secolo esisteva una comunità ebraica, che si era stanziata nel centro storico, tra l’attuale Piazza Garibaldi ed il castello; il vescovo di Luni Giovanni Battista Spinola, reduce da esperienze pastorali a Fabriano, San Severino e Ravenna, ne riconobbe ufficialmente la presenza nel ghetto nel 1676. Probabilmente furono proprio i biscotti rituali dei Giudei lericini ad avere insperata fortuna anche tra la popolazione cristiana.
Gallette di Lerici
Solo il nome, non la sostanza, distingueva il bucellatum dal panis nauticus, la galletta di cereali che la flotta romana aveva adottato fin dal 214 a.C.. Si trattava di biscotti nel senso etimologico del termine: cotti due volte, onde consentirne la lunga conservazione, ma non privi di una loro raffinatezza. Infatti, non passò molto tempo che si cominciò a distinguere il panis militaris mundus dal panis castrensis, che la vita scomoda e talora incerta dell’avamposto militare costringeva a essere più grezzo, di farina grossolana. Forse i prototipi erano stati i rozzi pani dei guerrieri Parti, che secondo Livio potevano conservarsi addirittura per secoli.
[N.d.R. = mentre per l’adozione del panis nauticus si può risalire con certezza la 214 a.C., è da ritenere che i naviganti usassero dapprima un pane schiacciato a lunga conservazione, poi chiamato “gallette”, e solo più tardi siano stati introdotti i biscotti dolci, sempre a lunga conservazione. Si veda il termine ebraico matza per pane azzimo, mal lievitato e sodo, che ha dato luogo al corrispondente aggettivo lericino mazangà, identico al sarzanese e fosdinovese mazaraangà e alla voce italiana mazzaranga, strumento per battere, assodare e appianare il terreno]
Ricette con le gallette – Le caponade delle donne di Lerici
Caponada sensa asedo
Caponata senza aceto
Ingredienti: gallette leggermente ammollate in acqua e ben strizzate in un panno, pepe, sale, olio, origano, pomodoro fresco a fettine di sottili, acciughe sotto sale diliscate e tagliate a pezzetti.
Preparazione: unire tutti gli elementi in una ciotola e mescolare come fosse un’insalata.
Caponada con l’asedo
Caponata con l’aceto
Ingredienti: gallette ammollate in acqua e aceto (c’è chi preferisce il solo aceto) capperi, pepe, sale, aceto, olive nere, acciughe salate diliscate e tagliate a pezzettini.
Preparazione: mettere tutto in una ciotola. È un’insalata, mescolare con dolcezza.