MESCCIÜA (o Mess-ciüa o Mesciüa o Mes-ciüa)
Attenendosi al “Dizionario spezzino” di Mario Niccolò Conti e Amedeo Ricco (1975) e al “Nuovo Dizionario del Dialetto Spezzino” di Franco Lena (1992) la scrittura precisa è quella iniziale. Nel “Vocabolario del Dialetto Lericino” di Colombo Bongiovanni (2010) il termine è scritto come “mes.ciùa”, mentre nel “Vocabolario Lericino/Italiano” di Zenobia Brondi (1995) è scritto come “mess’ciùa”. In ogni caso la semantica è la stessa, cioè mescolanza. La tradizione di questo piatto, fatto con cereali e legumi, appartiene alla costa occidentale del golfo, specificatamente alle contrade di Marola e Pegazzano. Generalmente si scrive che la mescciüa è nata con l’utilizzo dei semi e dei cereali caduti in porto durante la discarica delle navi, soprattutto ricercati dalle donne che lavoravano in porto. Ciò può essere credibile, ma l’origine di questa tradizione va fatta risalire alla preistoria, al <pasto sacro>, cioè quel pasto in cui la tribù si ritrovava in determinate feste per celebrarle con unità di sentimenti, cioè in <isofrequenza>. Questo effetto veniva ottenuto assumendo determinate sostanze, capaci di creare un comune stato alterato di coscienza. Nella fattispecie del sito di Marola si riscontrano i seguenti elementi:
a)la fonte dell’Acqua Santa (dialettamente <aigoa santa>) un’acqua utilizzata dai crociati quando rientravano dalla Terra Santa, affetti da varie malattie della pelle. Va ricordato in proposito che l’approdo della Piastra (una grande protuberanza rocciosa che consentiva l’attracco delle navi) era l’unico possibile nelle acque basse della costa occidentale del golfo, in prossimità del “ribocco”, cioè del fenomeno della mareggiata che sospingeva le onde fino ad addentrarsi all’interno della pianura costiera, per poi ritornare indietro (da ciò deriva l’attuale toponimo di Rebocco). Se la malattia risultava incurabile, si ricoveravano i crociati malati, anche di lebbra, nel Lebbrosario di Silvaricia (la grande foresta che si trovava nella piana di Sarzana) ove oggi si riscontra il toponimo San Lazzaro. L’impianto, ancora esistente come magazzino, è citato nella pergamena del Codice Pelavicino N° 9, senza data, ma relativa al Vescovo Gotifredo II (1130-1153). Lo studioso spezzino Ubaldo Formentini riteneva che questa fonte fosse un antico ninfeo;
b)accanto alla sorgente è stata costruita la chiesa della Madonna dell’Acqua Santa, che si festeggiava prima il 2 luglio, e che è stata poi spostata alla prima domenica di luglio;
c) due settimane dopo la celebrazione della festa della Madonna dell’Acqua Santa si svolgeva a Marola la festa detta “dell’Aigoa Santa sarvadega” e le donne del paese preparavano la mescciüa;
d) la domenica successiva alla festa della Madonna dell’Acqua Santa, a Pegazzano si celebrava la festa della Madonna della Mistura (analoga titolazione, ma espressa in lingua italiana) e si faceva la gara a chi mangiava più velocemente un piatto di maccheroni, avendo le mani legate dietro la schiena;
e) nel “Nuovo Dizionario del Dialetto Spezzino”, si legge che nella mescciüa si dovevano cuocere i seguenti elementi: ceci, fagioli bianchi, grano farro e si potevano aggiungere o fave secche o “picossin”;
f) nello stesso dizionario si legge che il “picossin” era il nome spezzino della cicerchia (Lathyrus Sativus);
g) la cicerchia contiene un aminoacido che, se assunta in grandi quantità (cioè da popolazioni che non hanno altro con cui sfamarsi) può provocare il Latirismo, cioè una progressiva paralisi agli arti inferiori. Ciò non avviene se però nella dieta non si supera il 30% di questo alimento. Questo aminoacido produce però quel fenomeno che gli antichi denominavano temulentia , cioè ebbrezza. Questa particolarità della cicerchia conferma quindi la natura di <pasto sacro> da riconoscere alla mescciüa;
h) l’utilizzo della cicerchia avviene anche nel Sud dell’Italia, ma è soprattutto importante averne trovato l’uso nei ricettari tradizionali dell’isola di Ischia, in quanto la popolazione antica del Golfo di Napoli era formata dagli Osco-umbri, popolo fuggito dalla pianura dell’attuale Mar Nero, quando il territorio era stato invaso dal mare, che si era sollevato di 110 metri rispetto al precedente livello (il fenomeno è durato dal 10.000 al 5.000 a.C.). Questo popolo, prima di raggiungere l’Umbria, aveva attraversato le Alpi orientali e si era fermato in Lunigiana. L’Università di Perugia ha dovuto riconoscere questa fase della migrazione e quindi coniare il nuovo appellativo di Paleo-umbri per distinguere la popolazione proveniente dal Mar Nero che si era stanziata in Lunigiana;
i) una parte dei suddetti elementi è riscontrabile in un prezioso libretto di Armando Barbuto, a titolo “Nostra Signora dell’Acqua Santa – Un santuario, una fonte miracolosa e la traccia di un culto arcaico delle acque”, Edizioni del Tridente, Massa, 1991;
l) avendo fatto testare l’acqua della fonte da un rabdomante, questi l' ha trovata dotata di una energia molto elevata, con valori che si avvicinano all’acqua di Lourdes.
a)la fonte dell’Acqua Santa (dialettamente <aigoa santa>) un’acqua utilizzata dai crociati quando rientravano dalla Terra Santa, affetti da varie malattie della pelle. Va ricordato in proposito che l’approdo della Piastra (una grande protuberanza rocciosa che consentiva l’attracco delle navi) era l’unico possibile nelle acque basse della costa occidentale del golfo, in prossimità del “ribocco”, cioè del fenomeno della mareggiata che sospingeva le onde fino ad addentrarsi all’interno della pianura costiera, per poi ritornare indietro (da ciò deriva l’attuale toponimo di Rebocco). Se la malattia risultava incurabile, si ricoveravano i crociati malati, anche di lebbra, nel Lebbrosario di Silvaricia (la grande foresta che si trovava nella piana di Sarzana) ove oggi si riscontra il toponimo San Lazzaro. L’impianto, ancora esistente come magazzino, è citato nella pergamena del Codice Pelavicino N° 9, senza data, ma relativa al Vescovo Gotifredo II (1130-1153). Lo studioso spezzino Ubaldo Formentini riteneva che questa fonte fosse un antico ninfeo;
b)accanto alla sorgente è stata costruita la chiesa della Madonna dell’Acqua Santa, che si festeggiava prima il 2 luglio, e che è stata poi spostata alla prima domenica di luglio;
c) due settimane dopo la celebrazione della festa della Madonna dell’Acqua Santa si svolgeva a Marola la festa detta “dell’Aigoa Santa sarvadega” e le donne del paese preparavano la mescciüa;
d) la domenica successiva alla festa della Madonna dell’Acqua Santa, a Pegazzano si celebrava la festa della Madonna della Mistura (analoga titolazione, ma espressa in lingua italiana) e si faceva la gara a chi mangiava più velocemente un piatto di maccheroni, avendo le mani legate dietro la schiena;
e) nel “Nuovo Dizionario del Dialetto Spezzino”, si legge che nella mescciüa si dovevano cuocere i seguenti elementi: ceci, fagioli bianchi, grano farro e si potevano aggiungere o fave secche o “picossin”;
f) nello stesso dizionario si legge che il “picossin” era il nome spezzino della cicerchia (Lathyrus Sativus);
g) la cicerchia contiene un aminoacido che, se assunta in grandi quantità (cioè da popolazioni che non hanno altro con cui sfamarsi) può provocare il Latirismo, cioè una progressiva paralisi agli arti inferiori. Ciò non avviene se però nella dieta non si supera il 30% di questo alimento. Questo aminoacido produce però quel fenomeno che gli antichi denominavano temulentia , cioè ebbrezza. Questa particolarità della cicerchia conferma quindi la natura di <pasto sacro> da riconoscere alla mescciüa;
h) l’utilizzo della cicerchia avviene anche nel Sud dell’Italia, ma è soprattutto importante averne trovato l’uso nei ricettari tradizionali dell’isola di Ischia, in quanto la popolazione antica del Golfo di Napoli era formata dagli Osco-umbri, popolo fuggito dalla pianura dell’attuale Mar Nero, quando il territorio era stato invaso dal mare, che si era sollevato di 110 metri rispetto al precedente livello (il fenomeno è durato dal 10.000 al 5.000 a.C.). Questo popolo, prima di raggiungere l’Umbria, aveva attraversato le Alpi orientali e si era fermato in Lunigiana. L’Università di Perugia ha dovuto riconoscere questa fase della migrazione e quindi coniare il nuovo appellativo di Paleo-umbri per distinguere la popolazione proveniente dal Mar Nero che si era stanziata in Lunigiana;
i) una parte dei suddetti elementi è riscontrabile in un prezioso libretto di Armando Barbuto, a titolo “Nostra Signora dell’Acqua Santa – Un santuario, una fonte miracolosa e la traccia di un culto arcaico delle acque”, Edizioni del Tridente, Massa, 1991;
l) avendo fatto testare l’acqua della fonte da un rabdomante, questi l' ha trovata dotata di una energia molto elevata, con valori che si avvicinano all’acqua di Lourdes.