Alla ricerca di antiche ricette ebraiche nell’odierna gastronomia lericina.
Nell’odierna cucina lericina, compaiono alcuni piatti, la cui origine potrebbe esser ricondotta al tempo in cui, nelle nostre zone, era più forte la presenza ebraica.
Già durante un convegno organizzato nel 2003 a Pontremoli, dall’Accademia italiana della cucina, era emerso come gli studiosi fossero ormai concordi nell’attribuire la spongata, derivata dall’antico dolce spagnolo spongado, alla tradizione ebraica. Dello stesso avviso è Ariel Toaff, che nel suo “Mangiare alla giudia”scrive:”Dolce ebraico era ed è la spongata (…) forse con lontane origini sefardite”, ed ancora “ebbe una rapida diffusione nelle comunità ebraiche dell’Italia centrosettentrionale”. Sebbene la spongata non sia propriamente un dolce lericino, è pur vero che essa fu importata a Lerici nei tempi passati, quando la cittadina rivierasca era maggiormente legata a Sarzana che alla Spezia, allora raggiungibile celermente solo via mare. Come la spongata anche il buccellato, o meglio una sua variante, può esser ricondotta all’ambiente israelitico. Nel rituale ebraico della cena pasquale, il sèder, comparivano in tavola delle ciambelle che, in Italia, venivano di solito realizzate da panettieri locali e talvolta erano guarnite con anice o semi di finocchio.
Nel nostro golfo, dove dialettalmente l’anicino è chiamato fenoceto, è testimoniata una ciambellona natalizia di farina, zucchero, lievito di birra, olio d’oliva, uova ed appunto semi di finocchio ed un bucelato molto simile, a Lerici. E’ indubbio che vi siano elementi di paragone anche se non tutti gli studiosi sono concordi. Taluni ritengono infatti che il buccellato affondi le radici in epoca protostorica. Nel Lericino, per Pasqua, si usavano portare in tavola i cavagnei, dolci di uova, farina, zucchero e finocchietto. La funzione dell’anice e del finocchietto era legata alle loro proprietà rinfrescanti e di difesa contro le infiammazioni ed il maleficio in generale. Anche questi dolcetti, talora decorati con un uovo sodo intinto nel the, sembrano rimandare ad una tradizione di ambito giudaico, perché anche nel cibo ebraico di Pasqua compare l’uovo sodo, simbolo di immortalità e rinascita. Per restare in ambito dolciario più sicura sembra essere l’attribuzione alla gastronomia ebraica della torta di riso dolce, diffusa in tutta la Lunigiana storica ed anche a Lerici. Molto apprezzata ad Ortonovo e Castelnuovo, zone in cui la presenza ebraica è attestata con sicurezza.
La ricetta sembra seguire le sorti della spongata, ed essere approdata nelle nostre zone al seguito di ebrei spagnoli. Lo testimonierebbe anche il fatto che la ricetta della torta di riso dolce si ritrova pari pari nel libro “La cucina nella tradizione ebraica” di Giuliana Ascoli Vitali-Norsa:
200 g. di riso, 1 litro di latte, 4 uova, 150 g. di zucchero, 100 g. di uvette, della scorza di limone grattugiata, un bicchiere di liquore. Questi gli ingredienti che si ritrovano nel comune di Lerici:
200 g. di riso,1 litro di latte, 6 uova, 250 c. di zucchero, la scorza di un limone, un bicchiere di
anice, si tratta delle stesse dosi! Da notare che questo dolce è per lo più sconosciuto nelle altre regioni d’Italia. Per restare nell’ambito della torta, ma questa volta salata, sarà utile ricordare come nel mondo ebraico sefardita esista la sponga, (da non confondersi con la spongata), una torta di pastasfoglia, con spinaci e formaggio, cotta al forno, che si consuma nel pasto di Shavuot, la festa della Pentecoste. A Lerici esiste la torta de spinasi, con i medesimi ingredienti e preparazione che altro non è se non una versione della più famosa torta Pasqualina, con i carciofi. Splendido poi un piatto santerenzino la cui etimologia rimane ancor oggi oscura: er cibreo o sibreo, da risolversi a mio avviso come: “er sibo d’abreo”, dove, in dialetto, sibo è il “cibo” ed abreo è l’ebreo.
Questo piatto compare solo nel comune di Lerici ed è sconosciuto in provincia! Ha per ingredienti fegatini, cuore ed interiora di gallina. Piatto povero della cucina di una volta, è permesso dai dettami ebraici che acconsentono il consumo dei volatili “da cortile”. Inoltre va ricordato che, con l’istituzione dei ghetti, il reddito di molte famiglie ebraiche diminuì a causa delle rigide limitazioni e divieti. Si fece così ricorso ad alimenti di ripiego, cercando di scartare il meno possibile.
Il risultato furono portate che in altre circostanze non avrebbero destato magari molto interesse. Così, ad esempio, nella tradizione della cucina ebraica della comunità romana compaiono le radici dei cardi e le cosiddette scorzonere, che ritroviamo anche nel nostro territorio.
I cardi sono in tutta la provincia degni compagni delle acciughe, mentre le scorzonere si consumano lesse oppure impanate e fritte. Ma come potrei tralasciare il più ebraico dei piatti lericini?
La fugazina sensa er levado di Tellaro, dove per levado si intende il lievito, a base di acqua, sale e farina, che il capofamiglia spezzava il Giovedì Santo, durante il digiuno. Queste focaccine, conosciute anche come croseti, poiché recano impressa una croce, ci richiamano però alla memoria immediatamente le mazzot o masa di Pèsach, ovvero i pani azzimi che nella Pasqua ebraica sostituiscono quello lievitato, in ricordo del pane che gli ebrei non hanno potuto far lievitare, la notte prima della liberazione dall’Antico Egitto. Sempre a Tellaro, con la voce dialettale giudea, si indicava una piccola brocca contenente l’olio per il lume. Per terminare mi sembra bello ricordare, grazie a Paolo De Benedetti, come la “ricerca del lievito”o Seder bi’ur chamez, letteralmente “sgombro di cibi lievitati”, che si compie nel mondo ebraico la vigilia di Pasqua, abbia poi dato origine alle nostre “pulizie pasquali”. Piccole tracce quotidiane di un inaspettato passato.
Sono debitore per queste ed altre preziose informazioni a Salvatore Marchese ed al suo “Cucina di Lunigiana”, Franco Muzzio editore 2004, pagg. 246-250.
Si veda “Natale in Liguria” di Renzo Bagnasco e Nada Boccalatte, edizioni Sagep 1998, pag. 33.
Si veda “Mangiare kasher e la cucina ebraico romanesca” di Donatella Limentani Pavoncello.
Per la tradizione tellarese si veda l’opera di Callegari e Varese.
Paolo De Benedetti “Sulla Pasqua”, a cura di Gabriella Caramore, editrice Morcelliana 2001, pagg. 23-24.
Il prof. Calzolari ha contribuito alla stesura del “quaderno del territorio” a titolo “Nel cuore di Lerici Via del Ghetto” – Edizioni Cinque Terre.
Nell’odierna cucina lericina, compaiono alcuni piatti, la cui origine potrebbe esser ricondotta al tempo in cui, nelle nostre zone, era più forte la presenza ebraica.
Già durante un convegno organizzato nel 2003 a Pontremoli, dall’Accademia italiana della cucina, era emerso come gli studiosi fossero ormai concordi nell’attribuire la spongata, derivata dall’antico dolce spagnolo spongado, alla tradizione ebraica. Dello stesso avviso è Ariel Toaff, che nel suo “Mangiare alla giudia”scrive:”Dolce ebraico era ed è la spongata (…) forse con lontane origini sefardite”, ed ancora “ebbe una rapida diffusione nelle comunità ebraiche dell’Italia centrosettentrionale”. Sebbene la spongata non sia propriamente un dolce lericino, è pur vero che essa fu importata a Lerici nei tempi passati, quando la cittadina rivierasca era maggiormente legata a Sarzana che alla Spezia, allora raggiungibile celermente solo via mare. Come la spongata anche il buccellato, o meglio una sua variante, può esser ricondotta all’ambiente israelitico. Nel rituale ebraico della cena pasquale, il sèder, comparivano in tavola delle ciambelle che, in Italia, venivano di solito realizzate da panettieri locali e talvolta erano guarnite con anice o semi di finocchio.
Nel nostro golfo, dove dialettalmente l’anicino è chiamato fenoceto, è testimoniata una ciambellona natalizia di farina, zucchero, lievito di birra, olio d’oliva, uova ed appunto semi di finocchio ed un bucelato molto simile, a Lerici. E’ indubbio che vi siano elementi di paragone anche se non tutti gli studiosi sono concordi. Taluni ritengono infatti che il buccellato affondi le radici in epoca protostorica. Nel Lericino, per Pasqua, si usavano portare in tavola i cavagnei, dolci di uova, farina, zucchero e finocchietto. La funzione dell’anice e del finocchietto era legata alle loro proprietà rinfrescanti e di difesa contro le infiammazioni ed il maleficio in generale. Anche questi dolcetti, talora decorati con un uovo sodo intinto nel the, sembrano rimandare ad una tradizione di ambito giudaico, perché anche nel cibo ebraico di Pasqua compare l’uovo sodo, simbolo di immortalità e rinascita. Per restare in ambito dolciario più sicura sembra essere l’attribuzione alla gastronomia ebraica della torta di riso dolce, diffusa in tutta la Lunigiana storica ed anche a Lerici. Molto apprezzata ad Ortonovo e Castelnuovo, zone in cui la presenza ebraica è attestata con sicurezza.
La ricetta sembra seguire le sorti della spongata, ed essere approdata nelle nostre zone al seguito di ebrei spagnoli. Lo testimonierebbe anche il fatto che la ricetta della torta di riso dolce si ritrova pari pari nel libro “La cucina nella tradizione ebraica” di Giuliana Ascoli Vitali-Norsa:
200 g. di riso, 1 litro di latte, 4 uova, 150 g. di zucchero, 100 g. di uvette, della scorza di limone grattugiata, un bicchiere di liquore. Questi gli ingredienti che si ritrovano nel comune di Lerici:
200 g. di riso,1 litro di latte, 6 uova, 250 c. di zucchero, la scorza di un limone, un bicchiere di
anice, si tratta delle stesse dosi! Da notare che questo dolce è per lo più sconosciuto nelle altre regioni d’Italia. Per restare nell’ambito della torta, ma questa volta salata, sarà utile ricordare come nel mondo ebraico sefardita esista la sponga, (da non confondersi con la spongata), una torta di pastasfoglia, con spinaci e formaggio, cotta al forno, che si consuma nel pasto di Shavuot, la festa della Pentecoste. A Lerici esiste la torta de spinasi, con i medesimi ingredienti e preparazione che altro non è se non una versione della più famosa torta Pasqualina, con i carciofi. Splendido poi un piatto santerenzino la cui etimologia rimane ancor oggi oscura: er cibreo o sibreo, da risolversi a mio avviso come: “er sibo d’abreo”, dove, in dialetto, sibo è il “cibo” ed abreo è l’ebreo.
Questo piatto compare solo nel comune di Lerici ed è sconosciuto in provincia! Ha per ingredienti fegatini, cuore ed interiora di gallina. Piatto povero della cucina di una volta, è permesso dai dettami ebraici che acconsentono il consumo dei volatili “da cortile”. Inoltre va ricordato che, con l’istituzione dei ghetti, il reddito di molte famiglie ebraiche diminuì a causa delle rigide limitazioni e divieti. Si fece così ricorso ad alimenti di ripiego, cercando di scartare il meno possibile.
Il risultato furono portate che in altre circostanze non avrebbero destato magari molto interesse. Così, ad esempio, nella tradizione della cucina ebraica della comunità romana compaiono le radici dei cardi e le cosiddette scorzonere, che ritroviamo anche nel nostro territorio.
I cardi sono in tutta la provincia degni compagni delle acciughe, mentre le scorzonere si consumano lesse oppure impanate e fritte. Ma come potrei tralasciare il più ebraico dei piatti lericini?
La fugazina sensa er levado di Tellaro, dove per levado si intende il lievito, a base di acqua, sale e farina, che il capofamiglia spezzava il Giovedì Santo, durante il digiuno. Queste focaccine, conosciute anche come croseti, poiché recano impressa una croce, ci richiamano però alla memoria immediatamente le mazzot o masa di Pèsach, ovvero i pani azzimi che nella Pasqua ebraica sostituiscono quello lievitato, in ricordo del pane che gli ebrei non hanno potuto far lievitare, la notte prima della liberazione dall’Antico Egitto. Sempre a Tellaro, con la voce dialettale giudea, si indicava una piccola brocca contenente l’olio per il lume. Per terminare mi sembra bello ricordare, grazie a Paolo De Benedetti, come la “ricerca del lievito”o Seder bi’ur chamez, letteralmente “sgombro di cibi lievitati”, che si compie nel mondo ebraico la vigilia di Pasqua, abbia poi dato origine alle nostre “pulizie pasquali”. Piccole tracce quotidiane di un inaspettato passato.
Sono debitore per queste ed altre preziose informazioni a Salvatore Marchese ed al suo “Cucina di Lunigiana”, Franco Muzzio editore 2004, pagg. 246-250.
Si veda “Natale in Liguria” di Renzo Bagnasco e Nada Boccalatte, edizioni Sagep 1998, pag. 33.
Si veda “Mangiare kasher e la cucina ebraico romanesca” di Donatella Limentani Pavoncello.
Per la tradizione tellarese si veda l’opera di Callegari e Varese.
Paolo De Benedetti “Sulla Pasqua”, a cura di Gabriella Caramore, editrice Morcelliana 2001, pagg. 23-24.
Il prof. Calzolari ha contribuito alla stesura del “quaderno del territorio” a titolo “Nel cuore di Lerici Via del Ghetto” – Edizioni Cinque Terre.