Conferenza di Astronomia Culturale di Sorano (GR) del 10 agosto 2015
Le lacrime di San Lorenzo nella astronomia culturale.
Nel convegno internazionale INSAP III tenutosi a Palermo dal 31 dicembre 2000 al 6 gennaio 2001, il gesuita Padre George Coyne, direttore del più grande telescopio al mondo, di proprietà del Vaticano e costruito a Tucson (Arizona), annunciò in una conferenza aperta al pubblico, tenutasi nella grande Aula Magna della facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo, che “noi siamo polvere di stelle”. Insorsero immediatamente, in prima fila, un gruppo di Ebrei, che scatenarono un putiferio, agitando le Bibbie, e gridandogli di togliersi il clergyman di sacerdote cattolico! Ci volle molto tempo prima che egli potesse spiegare quanto aveva potuto scoprire utilizzando il più potente telescopio al mondo, cioè che la vita è giunta sulla Terra dal cosmo, costruitasi con una interminabile catena di reazioni atomiche. Ciò è spiegato anche dal seguente scritto di Margherita Hack:
“Tutta la materia di cui siamo fatti noi la hanno costruita le stelle, tutti gli elementi sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernove, cioè queste stelle molto più grosse del Sole, che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno, per cui noi siamo veramente figli delle stelle”. Da questi due grandi scienziati apprendiamo che dirci polvere di stelle o figli delle stelle non è soltanto un modo di esprimersi poetico, ma è una verità scientifica emersa come “segno dei tempi”, che deve essere accettata con spirito razionale, anche se può destabilizzare coloro che non si aggiornano sui progressi della scienza.
Un ulteriore passaggio evolutivo ci viene proposto da un astrofisico e cosmologo, nonché divulgatore scientifico e produttore di film, Carl Sagan, il quale scrive più chiaramente:
“Noi siamo l’incarnazione locale di un cosmo cresciuto fino all’autocoscienza, abbiamo incominciato a comprendere la nostra origine: siamo materia stellare che medita sulle stelle”.
L’uomo è quindi un animale che possiede l’anima della propria specie (da non confondersi con lo spirito) che lo fa rimanere inconsciamente incantato dalle stelle del cielo, perché da lì hanno tratto inizio i componenti della sua struttura vitale. Per capire meglio come ciò possa avvenire, si può fare un esperimento. Prendiamo il <bancomat> e confrontiamolo con il dito medio della nostra mano di uomo adulto. Le due lunghezza coincidono. Così la larghezza del <bancomat> coincide con due falangi dello stesso dito. Perché tutti abbiamo adottato con facilità questo strumento, e non abbiamo fatto opposizioni di sorta? Perché questo rapporto lo abbiamo inserito negli elementi strutturali del nostro corpo, cioè ci è innato. Possiamo allora rileggere e riconsiderare meglio il pensiero del grande filosofo tedesco Immanuel Kant:
“Due cose riempiono di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”.
Evidentemente all’epoca di Kant non si conoscevano le scoperte dovute ai grandi telescopi moderni, ma la natura di quelle persone che potremmo definire dotate di “sovracutezza dei sensi” avevano una loro coscienza espansa tale da far loro conoscere verità che altri non riescono a percepire. Potremo allora definire che i poeti, i filosofi, i pittori, i musicisti e gli artisti in genere, siano uomini dotati di grande sensibilità e di capacità espressive innate, che li fanno estranei all’umanità ordinaria e quindi alla società in cui sono chiamati a vivere, che spesso li ridicolizza o li ricambia con l’emarginazione. Allora si può capire perché il grande toscano Galileo Galilei scrisse che:
“Le cose sono unite da legami invisibili. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella”.
Galileo viveva già cognizioni che oggi ci sono offerte dalla fisica quantistica? Di certo egli credeva agli influssi delle stelle e dei pianeti sugli uomini, e viveva facendo oroscopi a chi avesse bisogno di prendere decisioni importanti per la sua vita, per esempio come scegliere la propria moglie per dar vita ad un buon matrimonio. Così si guadagnavano da viveri i grandi astronomi Keplero e Newton. Va detto che astrologia e astronomia, all’inizio, erano una cosa sola; così San Tommaso d’Aquino era docente di astrologia in seminario. Più tardi le due discipline si separarono e l’astronomia, con l’astrofisica, e con l’archeoastronomia, è diventata oggi la regina delle scienze, dopo essere stata la prima a formarsi nella preistoria dell’uomo. Come è avvenuto ciò? L’uomo preistorico, vivendo all’aperto su un monte poté osservare i quattro punti fondamentali di tutte le cosmogonie: il sorgere al solstizio d’estate – il sorgere al solstizio d’inverno – il tramonto al solstizio d’inverno – il tramonto al solstizio d’estate. Questi quattro punti formano una X, come la croce di Sant’Andrea, in cui si verificano quattro opposizioni: dove sorge il Sole al solstizio d’estate, in opposizione tramonta il Sole al solstizio d’inverno; dove sorge il Sole al solstizio d’inverno, in opposizione tramonta il Sole al solstizio d’estate; dove tramonta il Sole al solstizio d’inverno in opposizione sorge il Sole al solstizio d’estate ; dove tramonta il Sole al solstizio d’estate, sorge il Sole al solstizio d’inverno. In Australia è stato scoperto un cerchio megalitico al cui interno è contenuta proprio una struttura ad X, in parte distrutta nel 1940. Non solo fu possibile sperimentare la X, ma all’equinozio fu possibile verificare l’opposizione del sorgere del Sole a 90° con il tramonto del Sole a 270°; inoltre spettacolare, a metà lunazione, si poté osservare che quando tramonta il Sole, in opposizione appare la Luna Piena. L’uomo moderno, che vive in città in cui non si può più vedere il cielo per l’inquinamento luminoso, non ha più il rapporto con il cielo, e gli è quindi negata questa evoluzione attraverso le stelle, che era continuata per milioni di anni. Le follie moderne trovano la loro origine in questo allontanamento dalla natura. Questo processo di perdita di identità dell’uomo è ulteriormente aggravato dall’uso dei cellulari, che danneggiano il crescere e lo stabilizzarsi della memoria. L’uomo è così divenuto arido e violento, cinico e inevitabilmente disperato. L’artista e commediografa canadese Monique Proulx, nostra contemporanea, ha scritto in proposito che:
“la disperazione è un vocabolo vuoto inventato dalle persone che non guardano mai le stelle”.
Oggi, al tempo del villaggio globale, nel muro di una prigione della Palestina, si può leggere la seguente frase: “I ricchi hanno Dio e la Polizia, i poveri hanno stelle e poeti”.
Rimaniamo commossi di fronte a quanto ha scritto un palestinese, quasi certamente giovane, soffocato dalla spirale della violenza, senza speranza di una vita normale, privo di tutto. Allora le stelle continuano a funzionare ancora! La coscienza espansa di quell’uomo imprigionato, nostro contemporaneo, è entrata in contatto con la stella di una costellazione da cui vengono i suoi antenati, così come credevano i popoli della preistoria, che avevano ciascuno la propria costellazione di provenienza, che in paleoastronomia chiamiamo costellazione-generatrice. Per gli Egizi e per i Celti era Orione, per i Cinesi l’Orsa Maggiore, così per i Sardi e per i Liguri, mentre per i primi agricoltori giunti in Puglia, quando l’Adriatico era una grande pianura, perché il livello del mare era 110 metri più basso dell’attuale, la costellazione di provenienza era Cassiopea. Analoga costellazione avevano gli uomini che vissero nel Promontorio del Caprione, nell’estremo Levante Ligure, che inventarono la prima diapositiva preistorica per rappresentare la farfalla dorata, che si forma al tramonto del solstizio d’estate.
Per contro, un grande pazzo dei colori, Vincent Va Gogh, scriveva ancora prima :
“quando sento il bisogno di religione, esco di notte a dipingere le stelle”, confermando il senso di compenetrazione nelle frequenze della luce stellare del grande genio pittorico. Con la fisica moderna dovremmo dire che i microtubili delle sue proteine vibravano all’unisono con le stelle.
Per penetrare meglio in quella frase scritta nella prigione palestinese, dobbiamo tornare indietro di duemila anni, a quanto scritto dal grande filosofo Lucio Anneo Seneca, detto Seneca il Giovane:
“purché mi sia concesso di guardare il luccichio notturno delle stelle di cui alcune non si muovono, altre non si perdono nello spazio, ma ruotano su sé stesse, certune sprizzano inattese, certune abbagliano l’occhio con una scia di fuoco come se cadessero, o passano a volo con una coda luminosa; pur di essere in questa compagnia e di inserirmi, nei limiti concessi all’uomo, tra i corpi celesti, pur di tenere sempre lassù l’animo anelante alla vista di esseri a lui affini, che importa quale suolo calpesto?”.
A noi, studiosi del primo secolo del terzo millennio dalla venuta di Cristo sulla Terra, le stelle cadenti di San Lorenzo non potranno mai più procurarci delle vibrazioni dei microtubuli della proteine, analoghe a quelle che avranno potuto provare i nostri primogenitori, ancorché noi siamo eguali a loro. Einstein scrive infatti: “everithing is changed, except the way we are thinking”. Chissà quali spinte evolutive, quali dinamiche mentali si saranno sviluppate all’osservare i fenomeni definiti da Seneca come “scie di fuoco come se cadessero”. Questi eventi saranno stati elaborati come vicende di astrologia, cioè fenomeni definiti così dal Dalai Lama:
“Il cielo e la mente si specchiano l’uno nell’altro; questa percezione costituisce il nucleo fondamentale dell’astrologia”. Il Dalai Lama conosce bene la differenza fra l’astrologia tolemaica di un tempo e la posizione degli astri attuale, che porta uno scarto di 26° di differenza angolare. L’astrologia non è più una scena teatrale di corpi celesti capaci di influenzare la vita degli uomini (e in questo senso le stelle cadenti di San Lorenzo non possono rientrare in nessun modo nell’astrologia perché sono fenomeni casuali e non sistemici) ma deve essere rivista rispetto alle nuove scoperte che vengono fatte nei testi antichi, della Mesopotamia e dell’Egitto, e analizzate con la fisica quantistica. Dalle antiche narrazioni storiche di epoca romana si sa che le stelle cadenti venivano considerate come lo sperma del dio greco-romano Priapo. Nel cristianesimo ortodosso della Grecia, nel periodo in cui cominciano ad apparire le stelle cadenti, si celebra la Trasfigurazione di Gesù, cioè il superamento della corporeità animale per assurgere alla nuova vita dello spirito.
La notte di San Lorenzo, con la sua tradizione di esprimere un desiderio per vederlo verificato, non può essere altro che un mito derivante da più antiche tradizioni, che oggi, nonostante le nuove conoscenze, dobbiamo ancora capire. Forse, fra qualche anno, potremo ritrovarci qui per sentirne parlare in modo nuovo? Volendo comunque, prima di chiudere la trattazione, tentare una qualche ipotesi alla luce di quanto noi oggi sappiamo, potremo soffermarci sul fatto che la maggior parte delle stelle cadenti appare di coloro bianco e azzurro. Anche le più grandi, le più note stelle, emanano una luce bianco-azzurra o turchese. Appare strano che anche la Madonna, nelle apparizioni, appaia spesso con vesti di colore bianco-azzurre. Siamo di fronte allo stesso mito di rivolgersi alle stelle che emano frequenze che più sentiamo amiche, per ottenere aiuto? Si rientra nel tema della continuità del sacro primordiale e dei suoi misteri?
Le lacrime di San Lorenzo nella astronomia culturale.
Nel convegno internazionale INSAP III tenutosi a Palermo dal 31 dicembre 2000 al 6 gennaio 2001, il gesuita Padre George Coyne, direttore del più grande telescopio al mondo, di proprietà del Vaticano e costruito a Tucson (Arizona), annunciò in una conferenza aperta al pubblico, tenutasi nella grande Aula Magna della facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo, che “noi siamo polvere di stelle”. Insorsero immediatamente, in prima fila, un gruppo di Ebrei, che scatenarono un putiferio, agitando le Bibbie, e gridandogli di togliersi il clergyman di sacerdote cattolico! Ci volle molto tempo prima che egli potesse spiegare quanto aveva potuto scoprire utilizzando il più potente telescopio al mondo, cioè che la vita è giunta sulla Terra dal cosmo, costruitasi con una interminabile catena di reazioni atomiche. Ciò è spiegato anche dal seguente scritto di Margherita Hack:
“Tutta la materia di cui siamo fatti noi la hanno costruita le stelle, tutti gli elementi sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernove, cioè queste stelle molto più grosse del Sole, che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno, per cui noi siamo veramente figli delle stelle”. Da questi due grandi scienziati apprendiamo che dirci polvere di stelle o figli delle stelle non è soltanto un modo di esprimersi poetico, ma è una verità scientifica emersa come “segno dei tempi”, che deve essere accettata con spirito razionale, anche se può destabilizzare coloro che non si aggiornano sui progressi della scienza.
Un ulteriore passaggio evolutivo ci viene proposto da un astrofisico e cosmologo, nonché divulgatore scientifico e produttore di film, Carl Sagan, il quale scrive più chiaramente:
“Noi siamo l’incarnazione locale di un cosmo cresciuto fino all’autocoscienza, abbiamo incominciato a comprendere la nostra origine: siamo materia stellare che medita sulle stelle”.
L’uomo è quindi un animale che possiede l’anima della propria specie (da non confondersi con lo spirito) che lo fa rimanere inconsciamente incantato dalle stelle del cielo, perché da lì hanno tratto inizio i componenti della sua struttura vitale. Per capire meglio come ciò possa avvenire, si può fare un esperimento. Prendiamo il <bancomat> e confrontiamolo con il dito medio della nostra mano di uomo adulto. Le due lunghezza coincidono. Così la larghezza del <bancomat> coincide con due falangi dello stesso dito. Perché tutti abbiamo adottato con facilità questo strumento, e non abbiamo fatto opposizioni di sorta? Perché questo rapporto lo abbiamo inserito negli elementi strutturali del nostro corpo, cioè ci è innato. Possiamo allora rileggere e riconsiderare meglio il pensiero del grande filosofo tedesco Immanuel Kant:
“Due cose riempiono di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”.
Evidentemente all’epoca di Kant non si conoscevano le scoperte dovute ai grandi telescopi moderni, ma la natura di quelle persone che potremmo definire dotate di “sovracutezza dei sensi” avevano una loro coscienza espansa tale da far loro conoscere verità che altri non riescono a percepire. Potremo allora definire che i poeti, i filosofi, i pittori, i musicisti e gli artisti in genere, siano uomini dotati di grande sensibilità e di capacità espressive innate, che li fanno estranei all’umanità ordinaria e quindi alla società in cui sono chiamati a vivere, che spesso li ridicolizza o li ricambia con l’emarginazione. Allora si può capire perché il grande toscano Galileo Galilei scrisse che:
“Le cose sono unite da legami invisibili. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella”.
Galileo viveva già cognizioni che oggi ci sono offerte dalla fisica quantistica? Di certo egli credeva agli influssi delle stelle e dei pianeti sugli uomini, e viveva facendo oroscopi a chi avesse bisogno di prendere decisioni importanti per la sua vita, per esempio come scegliere la propria moglie per dar vita ad un buon matrimonio. Così si guadagnavano da viveri i grandi astronomi Keplero e Newton. Va detto che astrologia e astronomia, all’inizio, erano una cosa sola; così San Tommaso d’Aquino era docente di astrologia in seminario. Più tardi le due discipline si separarono e l’astronomia, con l’astrofisica, e con l’archeoastronomia, è diventata oggi la regina delle scienze, dopo essere stata la prima a formarsi nella preistoria dell’uomo. Come è avvenuto ciò? L’uomo preistorico, vivendo all’aperto su un monte poté osservare i quattro punti fondamentali di tutte le cosmogonie: il sorgere al solstizio d’estate – il sorgere al solstizio d’inverno – il tramonto al solstizio d’inverno – il tramonto al solstizio d’estate. Questi quattro punti formano una X, come la croce di Sant’Andrea, in cui si verificano quattro opposizioni: dove sorge il Sole al solstizio d’estate, in opposizione tramonta il Sole al solstizio d’inverno; dove sorge il Sole al solstizio d’inverno, in opposizione tramonta il Sole al solstizio d’estate; dove tramonta il Sole al solstizio d’inverno in opposizione sorge il Sole al solstizio d’estate ; dove tramonta il Sole al solstizio d’estate, sorge il Sole al solstizio d’inverno. In Australia è stato scoperto un cerchio megalitico al cui interno è contenuta proprio una struttura ad X, in parte distrutta nel 1940. Non solo fu possibile sperimentare la X, ma all’equinozio fu possibile verificare l’opposizione del sorgere del Sole a 90° con il tramonto del Sole a 270°; inoltre spettacolare, a metà lunazione, si poté osservare che quando tramonta il Sole, in opposizione appare la Luna Piena. L’uomo moderno, che vive in città in cui non si può più vedere il cielo per l’inquinamento luminoso, non ha più il rapporto con il cielo, e gli è quindi negata questa evoluzione attraverso le stelle, che era continuata per milioni di anni. Le follie moderne trovano la loro origine in questo allontanamento dalla natura. Questo processo di perdita di identità dell’uomo è ulteriormente aggravato dall’uso dei cellulari, che danneggiano il crescere e lo stabilizzarsi della memoria. L’uomo è così divenuto arido e violento, cinico e inevitabilmente disperato. L’artista e commediografa canadese Monique Proulx, nostra contemporanea, ha scritto in proposito che:
“la disperazione è un vocabolo vuoto inventato dalle persone che non guardano mai le stelle”.
Oggi, al tempo del villaggio globale, nel muro di una prigione della Palestina, si può leggere la seguente frase: “I ricchi hanno Dio e la Polizia, i poveri hanno stelle e poeti”.
Rimaniamo commossi di fronte a quanto ha scritto un palestinese, quasi certamente giovane, soffocato dalla spirale della violenza, senza speranza di una vita normale, privo di tutto. Allora le stelle continuano a funzionare ancora! La coscienza espansa di quell’uomo imprigionato, nostro contemporaneo, è entrata in contatto con la stella di una costellazione da cui vengono i suoi antenati, così come credevano i popoli della preistoria, che avevano ciascuno la propria costellazione di provenienza, che in paleoastronomia chiamiamo costellazione-generatrice. Per gli Egizi e per i Celti era Orione, per i Cinesi l’Orsa Maggiore, così per i Sardi e per i Liguri, mentre per i primi agricoltori giunti in Puglia, quando l’Adriatico era una grande pianura, perché il livello del mare era 110 metri più basso dell’attuale, la costellazione di provenienza era Cassiopea. Analoga costellazione avevano gli uomini che vissero nel Promontorio del Caprione, nell’estremo Levante Ligure, che inventarono la prima diapositiva preistorica per rappresentare la farfalla dorata, che si forma al tramonto del solstizio d’estate.
Per contro, un grande pazzo dei colori, Vincent Va Gogh, scriveva ancora prima :
“quando sento il bisogno di religione, esco di notte a dipingere le stelle”, confermando il senso di compenetrazione nelle frequenze della luce stellare del grande genio pittorico. Con la fisica moderna dovremmo dire che i microtubili delle sue proteine vibravano all’unisono con le stelle.
Per penetrare meglio in quella frase scritta nella prigione palestinese, dobbiamo tornare indietro di duemila anni, a quanto scritto dal grande filosofo Lucio Anneo Seneca, detto Seneca il Giovane:
“purché mi sia concesso di guardare il luccichio notturno delle stelle di cui alcune non si muovono, altre non si perdono nello spazio, ma ruotano su sé stesse, certune sprizzano inattese, certune abbagliano l’occhio con una scia di fuoco come se cadessero, o passano a volo con una coda luminosa; pur di essere in questa compagnia e di inserirmi, nei limiti concessi all’uomo, tra i corpi celesti, pur di tenere sempre lassù l’animo anelante alla vista di esseri a lui affini, che importa quale suolo calpesto?”.
A noi, studiosi del primo secolo del terzo millennio dalla venuta di Cristo sulla Terra, le stelle cadenti di San Lorenzo non potranno mai più procurarci delle vibrazioni dei microtubuli della proteine, analoghe a quelle che avranno potuto provare i nostri primogenitori, ancorché noi siamo eguali a loro. Einstein scrive infatti: “everithing is changed, except the way we are thinking”. Chissà quali spinte evolutive, quali dinamiche mentali si saranno sviluppate all’osservare i fenomeni definiti da Seneca come “scie di fuoco come se cadessero”. Questi eventi saranno stati elaborati come vicende di astrologia, cioè fenomeni definiti così dal Dalai Lama:
“Il cielo e la mente si specchiano l’uno nell’altro; questa percezione costituisce il nucleo fondamentale dell’astrologia”. Il Dalai Lama conosce bene la differenza fra l’astrologia tolemaica di un tempo e la posizione degli astri attuale, che porta uno scarto di 26° di differenza angolare. L’astrologia non è più una scena teatrale di corpi celesti capaci di influenzare la vita degli uomini (e in questo senso le stelle cadenti di San Lorenzo non possono rientrare in nessun modo nell’astrologia perché sono fenomeni casuali e non sistemici) ma deve essere rivista rispetto alle nuove scoperte che vengono fatte nei testi antichi, della Mesopotamia e dell’Egitto, e analizzate con la fisica quantistica. Dalle antiche narrazioni storiche di epoca romana si sa che le stelle cadenti venivano considerate come lo sperma del dio greco-romano Priapo. Nel cristianesimo ortodosso della Grecia, nel periodo in cui cominciano ad apparire le stelle cadenti, si celebra la Trasfigurazione di Gesù, cioè il superamento della corporeità animale per assurgere alla nuova vita dello spirito.
La notte di San Lorenzo, con la sua tradizione di esprimere un desiderio per vederlo verificato, non può essere altro che un mito derivante da più antiche tradizioni, che oggi, nonostante le nuove conoscenze, dobbiamo ancora capire. Forse, fra qualche anno, potremo ritrovarci qui per sentirne parlare in modo nuovo? Volendo comunque, prima di chiudere la trattazione, tentare una qualche ipotesi alla luce di quanto noi oggi sappiamo, potremo soffermarci sul fatto che la maggior parte delle stelle cadenti appare di coloro bianco e azzurro. Anche le più grandi, le più note stelle, emanano una luce bianco-azzurra o turchese. Appare strano che anche la Madonna, nelle apparizioni, appaia spesso con vesti di colore bianco-azzurre. Siamo di fronte allo stesso mito di rivolgersi alle stelle che emano frequenze che più sentiamo amiche, per ottenere aiuto? Si rientra nel tema della continuità del sacro primordiale e dei suoi misteri?