Due tradizioni del Giovedì Santo del Levante e del Ponente Ligure.
Nel Levante ligure, nel paese di Pignone (La Spezia) ricco di tradizioni medioevali e di simbologie templari, si ricorda la tradizione dei ragazzi che uscivano con i bastoni con cui percuotevano il terreno soprastante il sagrato, fra la chiesa pievana di Santa Maria Assunta e l’oratorio della Confraternita “Mortis et Orationis”, terreno tutt’ora di proprietà della parrocchia, detto “campettu di morti”, per significare l’azione “de picà i Giudii” perché avevano catturato e ucciso Gesù. Di tale usanza parla Gino Bellani nel suo libro su Pignone. L’usanza può essere ritenuta credibile se si considera che fino alla riforma liturgica introdotta da Giovanni XXIII vigeva nel Venerdì Santo una speciale preghiera detta “Oremus et pro perfidis Iudaeis”. Lo studioso pignonese Alfredo Remedi ricorda quanto gli disse l’arciprete don Vando Cabano, e cioè che la vecchia canonica, ancora oggi esistente, acquistata nel 1738, era indicata nel documento di acquisto come “casa della rabbina”.
È da ricordare che proprio nel 1738 vi fu la cacciata degli Ebrei dal territorio della Repubblica.
Numerosi sono i nomi presenti in Pignone, quali Adamo, Anna, Rachele, Sara, e poco più in basso, nel borgo di Pian di Barca si rinviene il cognome Rebecchi. L’importanza storica di Pignone è dovuta ad essere stato il paese una base di sosta nella via commerciale che da Monterosso conduceva alla Val di Vara e di qui al Parmense. Le carovane di muli potevano sostare e scaricare le merci al sicuro nei fondachi. Il toponimo Pignone non deriverebbe dalla semplice pigna, ma dalla valorizzazione simbolica delle due spirali levogira e destrogira della serie di Fibonacci, di cui si compone la struttura della pigna, richiamo idealizzato dell’unione che fa la forza, specie se riferito alla confraternita dei Templari.
Nel Ponente Ligure, nel paese di Sarola (Comune di Chiusavecchia, Imperia) si tiene a mezzogiorno un pranzo collettivo, nel Salone del Comune vecchio. Vi sono ammessi soltanto gli uomini, mentre le donne entrano per porgere le vivande. I partecipanti debbono arrivare con la “mangilà” cioè un tovaglietta annodata contenente i piatti, le posate ed il bichiere. Non sono assolutamente ammesse le posate usa e getta! Il menù è formato da un primo piatto di pasta e da quattro secondi ottenuti con diverse ricette di baccalà, di cui una rigorosamente di baccalà bollito, condito con l’eccellente olio extra-vergine prodotto dalle olive taggiasche, il prodotto tradizionale di cui essi vanno particolarmente fieri. Terminato il pasto le donne salgono nel salone per unirsi agli uomini nel canto del “Miserere” secondo una melodia locale, con cui viene chiuso l’incontro. Le donne possono così scendere e consumare il loro pasto. All’incontro, denominato dialettalmente “u pastu”, partecipa il prete della comunità, che apre il convivio con la recita del “Pater Noster” e lo chiude impartendo la benedizione. Molto interessante è il toponimo del paese, che sembra contenere i richiami della liturgia eugubina, a similitudine di molti altri luoghi della Lunigiana e dell’Italia Centrale. Le componenti del toponimo potrebbero essere “asa”, cioè lo spazio attorno all’ara, “ara”, cioè l’altare per le offerte cruente, e Hola, la divinità femminile delle Tavole di Gubbio, anche di aggettivazione maschile, trascritta come Holi, Holo, Hule. Veniva onorata come divinità ctonia, cioè sotto l’altare, mentre la divinità onorata sopra l’altare era Torza, Turse, Turze, “colei che atterrisce”, la divinità dei dirupi. Si noti come esista la costante liturgica di avere, al disotto del luogo delle offerte, l’acqua, in questo caso un’ansa del fiume Impero con la chiusa, che ne ampliava lo specchio d’acqua. Si noti la affinità con il toponimo Airole, comune di Imperia e con il cognome Laiolo, in quanto entrambi contengono la base <aiu> delle Tavole di Gubbio, oltre ai suffissi ara + Holo oppure ara + Hole. Secondo il prof. Lancillotti la suddetta base <aiu> è voce del verbo dire, cioè dico, sentenzio, quindi parole profferite, spesso ad alta voce, presso l’ara dedicata alla divinità Hola, Holo, Hule. Secondi il prof. Maruotti la voce “aiuola” deriverebbe dalla Tavole di Gubbio in quanto si tratterebbe di una derivazione dallo spazio contornato da pietre, al centro del quale sarebbe stata posta la pietra sacra verso la quale indirizzare le offerte.
Nel Levante ligure, nel paese di Pignone (La Spezia) ricco di tradizioni medioevali e di simbologie templari, si ricorda la tradizione dei ragazzi che uscivano con i bastoni con cui percuotevano il terreno soprastante il sagrato, fra la chiesa pievana di Santa Maria Assunta e l’oratorio della Confraternita “Mortis et Orationis”, terreno tutt’ora di proprietà della parrocchia, detto “campettu di morti”, per significare l’azione “de picà i Giudii” perché avevano catturato e ucciso Gesù. Di tale usanza parla Gino Bellani nel suo libro su Pignone. L’usanza può essere ritenuta credibile se si considera che fino alla riforma liturgica introdotta da Giovanni XXIII vigeva nel Venerdì Santo una speciale preghiera detta “Oremus et pro perfidis Iudaeis”. Lo studioso pignonese Alfredo Remedi ricorda quanto gli disse l’arciprete don Vando Cabano, e cioè che la vecchia canonica, ancora oggi esistente, acquistata nel 1738, era indicata nel documento di acquisto come “casa della rabbina”.
È da ricordare che proprio nel 1738 vi fu la cacciata degli Ebrei dal territorio della Repubblica.
Numerosi sono i nomi presenti in Pignone, quali Adamo, Anna, Rachele, Sara, e poco più in basso, nel borgo di Pian di Barca si rinviene il cognome Rebecchi. L’importanza storica di Pignone è dovuta ad essere stato il paese una base di sosta nella via commerciale che da Monterosso conduceva alla Val di Vara e di qui al Parmense. Le carovane di muli potevano sostare e scaricare le merci al sicuro nei fondachi. Il toponimo Pignone non deriverebbe dalla semplice pigna, ma dalla valorizzazione simbolica delle due spirali levogira e destrogira della serie di Fibonacci, di cui si compone la struttura della pigna, richiamo idealizzato dell’unione che fa la forza, specie se riferito alla confraternita dei Templari.
Nel Ponente Ligure, nel paese di Sarola (Comune di Chiusavecchia, Imperia) si tiene a mezzogiorno un pranzo collettivo, nel Salone del Comune vecchio. Vi sono ammessi soltanto gli uomini, mentre le donne entrano per porgere le vivande. I partecipanti debbono arrivare con la “mangilà” cioè un tovaglietta annodata contenente i piatti, le posate ed il bichiere. Non sono assolutamente ammesse le posate usa e getta! Il menù è formato da un primo piatto di pasta e da quattro secondi ottenuti con diverse ricette di baccalà, di cui una rigorosamente di baccalà bollito, condito con l’eccellente olio extra-vergine prodotto dalle olive taggiasche, il prodotto tradizionale di cui essi vanno particolarmente fieri. Terminato il pasto le donne salgono nel salone per unirsi agli uomini nel canto del “Miserere” secondo una melodia locale, con cui viene chiuso l’incontro. Le donne possono così scendere e consumare il loro pasto. All’incontro, denominato dialettalmente “u pastu”, partecipa il prete della comunità, che apre il convivio con la recita del “Pater Noster” e lo chiude impartendo la benedizione. Molto interessante è il toponimo del paese, che sembra contenere i richiami della liturgia eugubina, a similitudine di molti altri luoghi della Lunigiana e dell’Italia Centrale. Le componenti del toponimo potrebbero essere “asa”, cioè lo spazio attorno all’ara, “ara”, cioè l’altare per le offerte cruente, e Hola, la divinità femminile delle Tavole di Gubbio, anche di aggettivazione maschile, trascritta come Holi, Holo, Hule. Veniva onorata come divinità ctonia, cioè sotto l’altare, mentre la divinità onorata sopra l’altare era Torza, Turse, Turze, “colei che atterrisce”, la divinità dei dirupi. Si noti come esista la costante liturgica di avere, al disotto del luogo delle offerte, l’acqua, in questo caso un’ansa del fiume Impero con la chiusa, che ne ampliava lo specchio d’acqua. Si noti la affinità con il toponimo Airole, comune di Imperia e con il cognome Laiolo, in quanto entrambi contengono la base <aiu> delle Tavole di Gubbio, oltre ai suffissi ara + Holo oppure ara + Hole. Secondo il prof. Lancillotti la suddetta base <aiu> è voce del verbo dire, cioè dico, sentenzio, quindi parole profferite, spesso ad alta voce, presso l’ara dedicata alla divinità Hola, Holo, Hule. Secondi il prof. Maruotti la voce “aiuola” deriverebbe dalla Tavole di Gubbio in quanto si tratterebbe di una derivazione dallo spazio contornato da pietre, al centro del quale sarebbe stata posta la pietra sacra verso la quale indirizzare le offerte.