La tradizione delle bigiuéte
Nel “Vocabolario del dialetto lericino” di Colombo Bongiovanni si trova il termine bigiuéta per indicare l’anemone di mare (Anemonia sulcata) o attinia (dal greco “raggio di luce”) che si ritrova poi nella voce òcio de cùo per indicare l’anemone rosso detto anche pomodoro di mare (Actinia equina di Linneo). In questo modo si ritrova anche nel “Vocabolario Lericino” di Zenobia Brondi. Bongiovanni, collegandosi semanticamente con la radice greca di attinia, spiega l’origine del termine lericino dal francese bijou, cioè “gioiello” per la bellezza delle sfumature dei colori di questi animali marini. Nessun accenno dell’attinia si trova nel “Vocabolario di Telaro”. Nel “Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda” di Mario Puddu, si trova indicata come orticata o ortziada, o ortigiada a seconda dei luoghi di provenienza nell’isola. Nel Sud della Francia viene chiamato ortie de mer, in rapporto alla declamata qualità urticante. Nell’isola di Ponza sono chiamate curnicule, e gli studiosi locali ritengono che l’etimologia dialettale sia dovuta “probabilmente per la somiglianza dei tentacoli a tante sottili “cornicelle” (cioè piccole corna). Durante la Seconda Guerra Mondiale, nella fase della presenza tedesca, i pescherecci lericini non portavano pesce, perché erano stati adibiti a dragamine, avendo il fasciame in legno. Issavano a poppa la bandiera nazista e furono anche mitragliati dagli aerei alleati. Andando al molo non si trovava pesce, ma soltanto si potevano acquistare le bigiuéte che, essendo urticanti, andavano trattate con i guanti. Venivano fatte fritte, oggi diremmo insemolate e fritte, ma molto spesso, in quei frangenti bellici, mancava la farina. Cessate le ristrettezze belliche, sul mercato lericino del pesce non si trovarono più queste prelibatezze del mare. Ancora oggi è difficile trovarle, anche se vengono allevate nella Laguna di Orbetello ed in Sardegna, ove sono oggetto di esportazione di valori d’uso del “Genius Loci”, oltre che di offerta tipica della cucina di mare dell’isola. Scorrendo i vari menù dei ristoranti delle coste italiane si nota come l’offerta gastronomica spazi dalle attinie insemolate e fritte, agli spaghetti agli anemoni di mare, alle frittelle di anemoni di mare. Non essendo facili da trovare, perché si riproducono soltanto in acque limpidissime e non inquinate, le attinie si possono acquistare anche surgelate. La parte del leone nell’offerta gastronomica degli anemoni la fa ora la Sardegna, ed a seguire la Sicilia e la Liguria del Ponente. Nello Slow Food, si potrà riprendere questa tradizione del “Genius Loci”, visto che abbiamo perso la notorietà internazionale della zuppa di datteri, così apprezzata nel Medioevo da essere offerta come vassallaggio agli imperatori Federico Barbarossa e Carlo IV di Boemia e Lussemburgo?
Nel “Vocabolario del dialetto lericino” di Colombo Bongiovanni si trova il termine bigiuéta per indicare l’anemone di mare (Anemonia sulcata) o attinia (dal greco “raggio di luce”) che si ritrova poi nella voce òcio de cùo per indicare l’anemone rosso detto anche pomodoro di mare (Actinia equina di Linneo). In questo modo si ritrova anche nel “Vocabolario Lericino” di Zenobia Brondi. Bongiovanni, collegandosi semanticamente con la radice greca di attinia, spiega l’origine del termine lericino dal francese bijou, cioè “gioiello” per la bellezza delle sfumature dei colori di questi animali marini. Nessun accenno dell’attinia si trova nel “Vocabolario di Telaro”. Nel “Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda” di Mario Puddu, si trova indicata come orticata o ortziada, o ortigiada a seconda dei luoghi di provenienza nell’isola. Nel Sud della Francia viene chiamato ortie de mer, in rapporto alla declamata qualità urticante. Nell’isola di Ponza sono chiamate curnicule, e gli studiosi locali ritengono che l’etimologia dialettale sia dovuta “probabilmente per la somiglianza dei tentacoli a tante sottili “cornicelle” (cioè piccole corna). Durante la Seconda Guerra Mondiale, nella fase della presenza tedesca, i pescherecci lericini non portavano pesce, perché erano stati adibiti a dragamine, avendo il fasciame in legno. Issavano a poppa la bandiera nazista e furono anche mitragliati dagli aerei alleati. Andando al molo non si trovava pesce, ma soltanto si potevano acquistare le bigiuéte che, essendo urticanti, andavano trattate con i guanti. Venivano fatte fritte, oggi diremmo insemolate e fritte, ma molto spesso, in quei frangenti bellici, mancava la farina. Cessate le ristrettezze belliche, sul mercato lericino del pesce non si trovarono più queste prelibatezze del mare. Ancora oggi è difficile trovarle, anche se vengono allevate nella Laguna di Orbetello ed in Sardegna, ove sono oggetto di esportazione di valori d’uso del “Genius Loci”, oltre che di offerta tipica della cucina di mare dell’isola. Scorrendo i vari menù dei ristoranti delle coste italiane si nota come l’offerta gastronomica spazi dalle attinie insemolate e fritte, agli spaghetti agli anemoni di mare, alle frittelle di anemoni di mare. Non essendo facili da trovare, perché si riproducono soltanto in acque limpidissime e non inquinate, le attinie si possono acquistare anche surgelate. La parte del leone nell’offerta gastronomica degli anemoni la fa ora la Sardegna, ed a seguire la Sicilia e la Liguria del Ponente. Nello Slow Food, si potrà riprendere questa tradizione del “Genius Loci”, visto che abbiamo perso la notorietà internazionale della zuppa di datteri, così apprezzata nel Medioevo da essere offerta come vassallaggio agli imperatori Federico Barbarossa e Carlo IV di Boemia e Lussemburgo?
Ad integrare l'articolo il gentile contributo della Dott.ssa Orietta Leone, Responsabile Promozione della Biblioteca e della Lettura, Settore Musei e Biblioteche - Genova che scrive al Prof. Calzolari:
il Vocabolario delle parlate liguri (Genova, Consulta Ligure, 1995), nel volume Lessici Speciali, intitolato "I pesci e altri animali marini" riporta le seguenti forme dialettali:
anemone di mare o attinia (Anemonia sulcata) > bigiuéta, fidé maìn, artìgua, pumata, sciùa de mâ
attinia rossa o pomodoro di mare (Actinia equina) > òcio de cùo, pumata, rasteghélu, spaghéti de mâ, tumata.
il Vocabolario delle parlate liguri (Genova, Consulta Ligure, 1995), nel volume Lessici Speciali, intitolato "I pesci e altri animali marini" riporta le seguenti forme dialettali:
anemone di mare o attinia (Anemonia sulcata) > bigiuéta, fidé maìn, artìgua, pumata, sciùa de mâ
attinia rossa o pomodoro di mare (Actinia equina) > òcio de cùo, pumata, rasteghélu, spaghéti de mâ, tumata.